
Lingueglietta sabato 22 novembre nella Chiesa-fortezza di Lingueglietta, le premiazioni, della terza edizione del "Premio letterario Cipressa". Sono intervenuti: il sindaco Gianna Spinelli, rappresentanze della Provincia di Cuneo e della "Famja albeisa" di Alba e operatori culturali. La manifestazione è stata creata dal presidente provinciale dell' 'Amicissia Piemonteisa' Antonio Guercia. La sede principale dell' 'Amicissia' è ad Alba e una delegazione operativa in provincia di Imperia è ad Aregai di Cipressa, in via Aurelia 170.
"Il concorso era aperto a tutti e ha coinvolto scuole della Liguria e del Piemonte con studenti chiamati a votare i racconti proposti. - spiegano gli organizzatori - Hanno partecipato, nell'Imperiese, classi dell'alberghiero della docente e scrittrice Manuela Ormea.
Il tema era " descrivi una giornata particolare "Il vincitore di questa edizione è il sanremese Daniele Siri al 3 posto ex aequo per Fulvio Castello noto negoziante di San Lorenzo al Mare che ha descritto una giornata di caccia, e la professoressa Sofia Martino di Pontedassio. Finora la sede rivierasca dell'Amicissia Piemonteisa ha organizzato eventi culturali, concorsi fotografici con esposizione al casinò di Sanremo, e incontri gastronomici".
Ana (Daniele Siri. Oceano Atlantico, 2001) Ana arrivò di sera, con il vento, insieme ad altre nove ragazze. Si avvicinarono con un barchino fin sottobordo: da là, ci chiamavano perché lanciassimo loro una scala di corda. Sorridevano e ci salutavano in modo provocante, in uno strano Italiano con un forte accento; le loro pelli scure si perdevano nel buio del mare sotto la murata, mentre aspettavano. Così gettammo la “biscaglina” e vennero su a piedi nudi, agili nei loro vestiti sottili. (Per un attimo la guardo e anche lei mi vede, ma è seria e subito le torna quel modo di fare distaccato: si protegge, forse, senza dimostrarsi simpatica come le altre... come se fosse qui per un motivo diverso dal dover seguire chiunque la chieda. Poi dimentichiamo di esserci visti e tutto intorno a noi ricomincia) Bellissimi volti sorridenti, quelli di dieci ragazze sul ponte di una nave ancorata al largo del Brasile, un Brasile notturno fatto di cose come quella che stava per accadere là…. le stesse cose che, nelle case lontane della costa, potevamo immaginare ma non vedere. Ma io avevo già una donna a casa, ad aspettarmi. Per questo me andai senza salutare, prima che i miei colleghi cominciassero a spartirsele come una vincita al gioco d’azzardo. Inutile sentirsi strani: le ragazze vengono per lavorare e, se non vuoi consumare, è meglio lasciar perdere; è ciò che dissi ad un compagno, ma non sapevo ancora che mi sarei rimangiato tutto nei giorni successivi. Non ho mai pensato ad Ana come ad una prostituta… ma forse non avevo mai pensato che una prostituta potesse essere davvero una donna, al di là della retorica visione da bravo ragazzo. Credevo di sì, eppure non mi sono mai sognato di avvicinarne una per scambiarci più di una battuta cordiale, nei porti o quando salivano a bordo: era un modo per sdrammatizzare la nostra condizione, piuttosto che la loro. Noi eravamo costretti a pagare per ravvivare il ricordo di un contatto umano, loro a vendersi per un tozzo di pane: difficile capire chi stesse peggio. Quella sera vennero a bussare nella mia cabina intorno a mezzanotte…. lungo i carruggetti si sentivano soltanto loro, tra risate e schiamazzi. Le aspettavo. Aspettavo che bussassero, ma per mandarle via: è il paradosso del ragazzo fidanzato ma vanitoso o, forse, di chissà quale altra contraddizione dell’anima umana. Quando andai ad aprire ce n'erano addirittura due, alla porta. E quando spiegai perchè non ero interessato, una di loro allungò sfacciatamente le mani per “controllare” che non stessi mentendo. Non so dire come mi sentissi davvero. Sembrava un gioco, quello di ragazze giovani (giovanissime?) che si proponevano a chiunque, senza distinzione di razza, età, stato di salute. Senza precauzioni. L’alternativa poteva essere fare la stessa cosa con uomini del loro paese con molti meno soldi e molte più amanti: è ciò che mi disse un taxista, un giorno, prima di esortarmi a scegliere una donna per la strada proponendole del denaro per il sesso. Secondo lui avrebbe accettato, quasi certamente, ma non ci ho provato. Non lo avrei fatto neanche quella sera, con quelle ragazze… di questo vorrei appunto parlare. A volte si scrive per non dimenticare le cose accadute, e allo stesso modo si può fare per quelle non accadute. Ana ha 23 anni e li avrà sempre, perché di lei mi resta solo il ricordo della notte in cui mi tenne compagnia durante la guardia in Macchina. Ana, che ascoltava una vecchia cassetta dei Culture Club nello stereo della saletta ufficiali, da sola. -Questa mi aiuta a piangere…- disse, tirandomi dolcemente per la barba. Poi: -Vuoi che salga in cabina da te?- Io rifiutai, con la scusa che stavo per cominciare il servizio: era una elusione alla domanda, d’accordo, ma era vero. Allora Ana annuì e chiese se potesse raggiungermi di sotto, in Centrale Propulsione. -Parliamo soltanto, prima che venga la barca a riprenderci.- -Sì… certo.- Mi strizzò l’occhio: -Aspetto la fine della canzone e poi scendo.- Indossava solo un body trasparente e un paio di shorts. Se ne stava seduta di fronte ai monitor dei motori con la pelle d’oca per l’aria condizionata, ma continuava a dire che stava bene. Pensavo a come fossero salite a bordo, arrampicandosi sulla scala di corda a piedi nudi, per circa dieci metri: difficile paragonarle con le “miss” della mia città… sapevo soltanto che una ragazza così bella, in Italia, avrebbe potuto fare quello che voleva. Avrebbe potuto mandarci gli uomini, a prostituirsi. Invece era là, su quella barca, nello stato più povero del Brasile. Studiava psicologia, Ana, e non voleva i miei soldi. Mi regalò il filo d’oro che aveva al collo, per convincermi. Era cresciuta in mezzo a strade di fango e case abbozzate, tenute in piedi dall’entusiasmo congenito della sopravvivenza. A 23 anni sembrava più temprata e più bambina di quanto non potrò mai essere né io né chiunque altro cresciuto al di sopra di un certo standard sociale. Quando penso a lei, la vedo ancora seduta di fronte a me, con i piedi nudi appoggiati sopra alle mie gambe, a mostrarmi le cicatrici che si era procurata da bambina, giocando. E giocava attirando l’attenzione dei miei occhi lungo la linea della sua gamba, fin sotto l’orlo di quel pantaloncino striminzito. Era una provocazione eccitante, nonostante sia finita per scoprirsi in un altro modo, svelando aspetti personali con l’illusione che, forse, in quelle poche ore potesse avverarsi una favola. L’unica favola, invece, me la raccontavo io, convincendomi che le chiacchiere e una tazza di tè la ripagassero davvero (al di là della buona fede) del tempo trascorso insieme. Ad un certo punto, ridendo, disse: -Una volta, un macchinista greco mi ha paragonato ad una macchina complicata…- Sembrava lusingata. -Sei sicura che ti piaccia essere paragonata ad una macchina?- Ana non rispose, ma di certo colse la mia allusione. Mi resi conto che soltanto allora cominciavo a considerarla davvero come me, una ragazza di fronte ad un ragazzo, in una situazione paradossale. Voleva far l’amore, Ana, e io le misi davanti il muro del mio legame con un’altra donna…. ferendole e tradendole entrambe, in un colpo solo. Passando ufficialmente da eroe, però. Tutte loro avrebbero dovuto restare poche ore a bordo della nostra nave, ma ce le lasciarono quasi un giorno. Rimasero nascoste in una cabina, al buio, con un via-vai di marinai che si diradava con il passare delle ore. Ana chiedeva di me attraverso i colleghi, aspettando che andassi a trovarla nelle pause della guardia in quella specie di prigione fatta di piatti sporchi, silenzio e aria pesante. Pensai di portarla in cabina da me, ma temevo la trovassero. L’ordine del comandante era stato di lasciarle là, per non rischiare che la Polizia le trovasse, ma forse ero solo un ragazzino cagasotto. Sono venuti a riprenderle alle nove di sera. Prima di salutarla cercai di spiegarle chissà che cosa, ma lei aveva già capito tutto… eppure mi propose di rivedersi al locale dei marinai, nella favela: Casablanca Dos Maritimos, si chiamava. Le risposi di no. Lei disse “ok ” e andò via. Siamo rimasti una settimana, in quel posto: ogni sera mi riportavano sue notizie, chiedeva perché non la andassi a trovare. Dopo qualche giorno mi scrisse un biglietto: diceva di non volere soldi, ma non poteva obbligarmi a tradire la mia ragazza a casa, lo capiva. Voleva soltanto vedermi, ma so che sarebbe finita diversamente. La distanza era l’ultimo ostacolo dietro cui nascondersi, finché non ce ne andammo. Spero di non attraccare più in quel terminal, non saprei come comportarmi. Forse come tutti gli altri, pagandola per dormire con me, e forse sarebbe la cosa di cui ha più bisogno. Non perché Ana sia davvero una macchina complicata, ma due ore di gentilezza e false speranze in una notte in cui avrebbe dovuto guadagnare soldi non le hanno cambiato la vita; sarebbe stato più semplice, per lei, ritrovare il suo macchinista greco un po’ poeta e meno Principe, piuttosto che prendersi un tè con i biscotti insieme a un indeciso romanticone italiano. Infatti, arrivati alla fine della favola non c’è stata la consueta formula dei protagonisti fortunati che vissero felici e contenti, ma soltanto una banale “Fine”…
Il racconto di Fulvio Castello
La notte, bella la notte, tu e lei.
Ascolto il ticchettio della sveglia, il sonno prova a sopraffarla ma non ci riesce, ho l'adrenalina che
scorre nelle vene aspetto l'ora giusta con ansia, poi il mio corpo senza indugi capisce che è arrivato
il momento, controllo per sicurezza l'ora e mi alzo.
Mi capita tutti gli anni il primo giorno.
Mi alzo dal letto pieno di quella nostalgia che ormai è 9 mesi che mi perseguita.. Tutto è già pronto
dalla sera prima. Con i gesti che ormai pratico da anni mi viene tutto così semplice, tutto al buio
senza rovinare quella magia che è la notte. Esco di casa, guardo il cielo, sereno, bene. Gli scarponi
li ho ingrassati il giorno prima, sono morbidi, si calzano meglio delle ciabatte, entrano da soli nei
piedi, hanno voglia di partire, di andare su per quei sentieri che conoscono a memoria. Prendo
le "stringhe" in mano e comincio ad allacciarli, è un operazione che faccio talmente di frequente che
riesco a fare al buio.
Mi piace la notte e non voglio rovinarla.
Solo lui si è accorto di qualcosa di strano in quella notte. Pilù, il mio setter inglese, è già li
pronto "mugugna", anche lui ha voglia di andare, quella voglia ormai trasmessa da generazioni.
L'unica cosa brutta di questa notte è il viaggio in macchina. Posteggio la vettura. La prima cosa che
faccio appena metto i piedi a terra è guardare nuovamente il cielo. In questo posteggio in mezzo ai
pascoli alpini non c'è nessun tipo di inquinamento luminoso.
Alzo gli occhi, e qui la notte dà il meglio di se. La prima cosa che noto è la luna, illuminata per
una piccola parte e poi ci sono migliaia di stelle tutte lì sopra di me. La fievole luce della luna è
sufficiente ad illuminare il bianco sentiero, i neri boschi di larici e le bianche pareti di rocce delle
montagne.
Si parte, zaino e fucile in spalla, Pilù al guinzaglio. Ormai lui conosce il mio passo e cammina
senza strattonare. Incominciamo la salita tutto è silenzio, ogni tanto in mezzo al bosco di larici
si ode una "maciotta" poi un "ganavello", il cane rizza le orecchie, si sentono dei rami rompersi,
qualche capriolo o qualche cervo impaurito dalla nostra silenziosa presenza. Usciamo dal bosco
e davanti a noi in quella notte illuminata solo di luna e di stelle vediamo le cime delle montagne,
mi si "apre il cuore". Si continua a salire, mi fermo alla solita "vena" a rinfrescarmi e a bere quell'
acqua che sembra la più buona del mondo, Pilù si fa un bel bagno di fango in una vicina "sotta",
l'acqua corrette si vede che è troppo pulita, la fanghiglia lo trasforma in una cosa brutta e lurida, a
lui piace così, gli farà bene al pelo.
E' un istante con la coda dell'occhio in cielo si vede una striscia luminosa che và da sud a nord,
una stella cadente, ed in questo momento incominci a pensare a quale desiderio esprimere, ne ho
troppi, poi alla fine come al solito ne scelgo uno impossibile. Dopo quasi mille metri di dislivello
arriviamo. Siamo vicini ad un lago alpino creato dal disgelo di un ghiacciaio, è ancora notte, manca
quasi un ora all'alba. Mi cambio la maglia sudata, ne metto una asciutta. Pilù conosce il posto è
euforico. Stendo la giacca a vento e terra e mi corico sopra, il cane sa già cosa fare, si corica anche
lui, non a terra, ma sul mio stomaco e mi scalda di quel calore che a 2500mt sotto le stelle che mi
guardano neanche la più calda delle donne saprebbe darmi. In questa posizione cerco di ricordarmi
quello che avevo studiato tanti anni fa a scuola, provo a trovare le varie costellazioni, ma ci sono
troppe stelle qualcuna color perla, qualcuna brillante, altre color rosa tenue, i vari stadi della loro
vita. Penso che ad ogni una di loro corrisponde un sole, magari lassù a migliaia di anni luce da noi
c'è un altro "abbelinato" come me che sta guardando il nostro Sole. Eccola un'altra stella cadente, e
vai con altri mille pensieri.
Il tempo vola, in un attimo l'orizzonte si comincia ad illuminare di una dolce luce cha và in
crescendo. Le creste più alte delle montagne, come un uomo che si propone la prima volta alla
sua amata, incominciano ad arrossire, sembra siano timide davanti ad un piccolo uomo, sanno che
quell'uomo è in grado di conquistarle. Lentamente il sole si alza nel cielo, la "sbrina" del mattino, si
trasforma in "aighiagna", comincia a gocciolare giù dalle rocce come lacrime, la montagna sa che
quell'uomo è arrivato fin lassù per rubargli un pezzo di cuore.
Ormai il giorno ha avuto il sopravvento sulla notte, guardi le vette maestose, guardi la valle. Laggiù
in fondo la civiltà, la confusione, l'inquinamento, la cattiveria di un mondo ormai pieno di egoismo,
di bugie e di gelosie, quassù invece tutto incontaminato quasi vergine.
Il cane mi guarda con impazienza "mugugna" vuole andare, lo slego dal guinzaglio, partiamo.
Omai anche lui conosce benissimo il posto sa dove è meglio passare, dove andare a caccia. Le ore
passano, l'adrenalina che ho in corpo continua a scorrere veloce. Si sale e si scende, si attraversano
nevai, passiamo vicino a strapiombi, tutto è bellissimo indescrivibile.
Perdo di vista Pilù, lo cerco con la vista in mezzo ai ghiaioni, in mezzo agli ultimi prati alpini
formati di muschi e licheni ed è proprio in uno di questi che lo vedo fermo come uno scoglio, ha
trovato le pernici bianche, quelle che avevamo fatto involare già negli allenamenti settembrini. E'
fermo ad una distanza esagerata, incomincio ad arrancare per andarlo a servire, tenendo l'occhio
fisso su di lui, inciampo, scivolo, ma continuo a salire, lui ogni tanto si volta a guardare il suo
padrone, la salita è durissima, però dopo diversi minuti riesco ad arrivare sul cane. Il cuore
nel petto è impazzito, lo sento velocissimo nelle tempie nella gola, cerco di prendere fiato ma
l'emozione è al massimo, continua a battere sempre più velocemente ed io vorrei il contrario.
Il cane incomincia la "guidata" io gli sto sempre vicino, continua a salire a testa alta, sembra
voglia mangiare l'aria, dopo poche decine di metri si schiaccia a terra, ci siamo. Si svolge tutto in
pochi secondi l'involo, uno sparo, poi un altro, il cane parte, vorrebbe poter volare, per riuscire
nell'impresa che io ho sbagliato, torna indietro mi guarda con due occhi pieni di tristezza non è
riuscito a mordere nulla. Forse vorrebbe mordermi un polpaccio, me lo merito.
A questo punto ci fermiamo un attimo a pranzare con un bel "pan e pumatta" un morso per me e un
pezzo a lui. Un pranzo così con un Amico così non ha prezzo. Guardo il sole alto nel cielo le pareti
ripide delle montagne, sulla sinistra in basso un branchetto di camosci, in alto sulla cresta un paio
di stambecchi, tutto è bellissimo. Finito il "gernà", che dura pochi minuti, mi corico su un masso e
penso alla “padella” fatta. Ripartiamo verso il punto dove mi immagino si siano andate a posare le
pernici, Pilù le trova quasi subito, stesso scenario di prima però con un finale diverso, questa volta
riesce a morderne una, me la riporta immediatamente e me la consegna malvolentieri, vorrebbe
tenerla tutta per sa, d’altra parte il merito và quasi tutto a lui. La guardo l'accarezzo, ringrazio la
Montagna del bel dono, sicuramente fatto con malincuore, però meritato. E' bellissima quasi tutta
bianca, sta per arrivare l'inverno. la pernice bianca, come tutti i tetraonidi, è un regalo lasciato
sulle nostre Alpi dall'ultima era glaciale. Completo le faccende burocratiche, anche a 3000mt c'è
burocrazia, chiudo lo zaino e cominciamo la discesa. Mentre scendiamo a valle penso a questa
bella giornata ricca di emozioni quelle che ti rimangono per tutta la vita, penso a quanto sono stato
fortunato a vivere a contatto con la natura, a vivere dentro la natura. Durante la discesa le ombre
stanno diventando sempre più lunghe, dopo poco il sole sparisce all'orizzonte, sta arrivando la
notte. Arrivo alla vettura che ormai è notte, alzo ancora una volta gli occhi al cielo e le stelle sono
nuovamente tutte lì a guardarmi, eccola ancora una stella cadente. Salgo in macchina e penso che
ormai solo pochissime persone riescono ancora ad apprezzare certe cose, non và di moda è "out".
Ma io ne sono fiero e me ne vanto.
Arrivo a casa Pilù scende dalla macchina che quasi non si regge più sulle gambe dalla stanchezza.
Tutti sono già a dormire, faccio tutto al buio come al mattino, ormai è notte fonda mi corico nel
letto e questa notte posso sognare, bella la notte.
italiano
French (FR)